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Si chiamava anche Calogero e non voleva morire


Nel 1925 Porto Empedocle era un piccolo borgo marinaro. Niente a che vedere con la cittadina di adesso, fatta di palazzi e di frazioni che si dilatano e aumentano di numero a vista d’occhio. C’erano soltanto poche case poste a corona attorno alla curva che fa il mare, e soltanto campagna sulla collina che sovrasta la costa.
In un paesino così il 6 settembre del 1925 nacque un bambino che sarebbe stato conosciuto da tutti come Andrea, ma che si chiamava anche Calogero. Calogero, come il santo nero che protegge il paese espropriando nel culto e nella devozione il legittimo patrono, quel San Gerlando che fu vescovo della città di Agrigento. Calogero l’eremita, Calogero che si prodigava per i poveri, Calogero extracomunitario ante litteram sulle coste della Sicilia.
In quel nome, prima che in ogni altra cosa, io leggo tutta la sicilianità di Andrea Camilleri. Chiamarsi Calogero, tra gli abitanti di Porto Empedocle, rappresenta un marchio doc di origine certa: chi ha questo nome può provenire al massimo, se non direttamente dalla Marina, al limite da qualche paese del più stretto circondario. Camilleri era, dunque, siciliano e marinisi fino alla radica, come forse avrebbe detto lui, ma ha caratterizzato la sua vita e la sua scrittura – al pari di come, per altre strade, fece Leonardo Sciascia – dalla grande capacità di trasferire il microcosmo nel macrocosmo, di utilizzare il proprio personalissimo osservatorio come lente d’ingrandimento di una realtà che ci interessa tutti, proprio in quanto appartenenti al genere umano.

Camilleri se n’è andato poco prima di compiere 94 anni. Si tratta senza dubbio di un’età veneranda, di quelle che fanno dire a chi resta: “Beh, la sua vita se l’è fatta, è stata lunga e piena, non si può lamentare”.

Non ho mai compreso i ragionamenti che sottendono certe clausole assicurative quando, ad esempio, modificano i premi in base alla cosiddetta speranza di vita. Del resto, una persona giovane che muore desta sentimenti più tristi perché, si dice, aveva ancora tutta la vita davanti. Ma davvero il valore di un’esistenza si misura nei termini delle cose da fare in nuce? Non vi sono forse esistenze fatte di trascinamento, di vuoto, di indifferenza verso ogni bellezza, di inutilità dello stesso vivere? Si possono mettere su un piatto della bilancia esistenze così avendo come contrappeso solo la consistenza di un’età anagrafica avanzata? Questo mio dubbio rappresenta ovviamente un’iperbolica provocazione, ma davvero mi chiedo se non sbagliamo tutto nell’attribuire un sistema valoriale rigido a una sostanza così duttile e complessa quale è l’esistenza umana.

Mio padre ha in comune con Camilleri il luogo e l’anno di nascita. Quando ha saputo del suo ricovero in ospedale, in condizioni gravi, mi ha detto: “Mi dispiace come se fosse un mio parente stretto”. Ecco, i 94 del Camilleri uomo, prima ancora che artista, contavano quanto gli anni di un giovane e responsabile adulto che abbia, anche, il valore aggiunto del talento. Non solo talento di scrittura, ma anche di parola e di pensiero. Quando Camilleri parlava ascoltarlo era un incanto. La sua lucidità di pensiero, la limpidezza del suo dire che faceva sembrare di potergli leggere dentro, ce lo facevano sentire una persona cara ed emancipata da ogni età.

Al momento del ricovero anch’io, come mio padre e come tanti, ho provato una stretta al cuore. Poi c’è stato il silenzio. Mentre tutti aspettavamo l’imminente notizia, si sono susseguiti giorni e giorni durante i quali niente più si è saputo, anche in virtù della legittima richiesta di silenzio stampa da parte della famiglia.

Durante quei giorni mi sono chiesta se Camilleri sentisse e sapesse cosa stava accadendo. E mi sono ricordata delle sue tante considerazioni sulla morte: l’ineluttabilità, la dovuta messa in conto, la serenità della sua attesa. Eppure in quei lunghi giorni ho immaginato un Andrea Calogero ragazzaccio lucido e tenace.

Sapere che prima o poi si muore e accettarlo non significa desiderare di morire, neanche a 94 anni. E il mio personale Camilleri, quello a cui ho voluto dare pensieri e sentimenti immaginari, ha perso tempo a morire, ha ritardato il momento finché ha potuto perché, nonostante la sua vita se la fosse fatta, nonostante quella vita fosse stata densa e piena, di morire non ne voleva proprio sapere.