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Dimmi di più di Miden

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Miden di Veronica Raimo, Mondadori, 2018

«Che bella luce c’è oggi», disse lui. «È proprio un mattino cristallino».

Stavano facendo colazione seduti al tavolo della cucina, proprio davanti alla grande vetrata.

«È un mattino cristallino come tanti a Miden», disse lei.

«Wow! Se mi citi la quarta di copertina vuol dire che lo hai letto… Finalmente hai letto Miden!» Il tono di lui era tra lo stupito e il divertito e la sua domanda non aspettava risposta. Sì, di certo lei si era finalmente decisa a leggere il libro che era uscito da anni e che, nonostante i continui incoraggiamenti di lui, si era sempre rifiutata di cominciare.

«Dimmi cosa ne pensi, forza!» continuò.

«Ti dirò,» rispose lei «lo sai che di Veronica Raimo avevo letto solo Niente di vero e devo confessare che questo mi è piaciuto di più. Ma, considerato quanto me lo hai decantato per mesi, mi aspettavo qualcosa di più straordinario».

«Ok, parliamone. Che cosa non ti è piaciuto?»

«Invece facciamo al contrario. Tu mi hai sempre detto che era bellissimo, ma non hai mai voluto spiegarmi il perché, aspettando che lo leggessi. Ecco, adesso che l’ho letto fammi la tua brava recensione. Poi parlo io».

«D’accordo, allora faccio le cose per bene e parto dall’inizio. Vuoi una recensione? E recensione sia!» disse lui con tono serio. Poi si sistemò gli occhiali sul naso, sollevò le spalle, si schiarì la voce e cominciò.

«Miden è un romanzo di Veronica Raimo pubblicato nel 2018 per Mondadori…»

All’improvviso scoppiò a ridere.

«Ma dai, non ce la faccio a parlare così di un libro, non è cosa mia. Ti dico invece che uno degli aspetti  che mi piace di più è l’idea di partenza, proprio nel senso del modo in cui comincia la storia, di quelle prime righe che si aprono subito con una gravidanza e con una lei e un lui che Raimo chiamerà per tutto il libro la compagna e il compagno, quasi a volerli spersonalizzare e quindi renderli universali. Il compagno e la compagna vivono da poco tempo a Miden – lui da un po’ di più – e aspettano un figlio. Il libro si apre con la promessa di cose buone, anche perché Miden sembra un contesto votato alla felicità. Invece irrompe nella scena – e nella casa dei due e nella vita della compagna – la ragazza, che asserisce di essere stata violentata due anni prima dal compagno, suo professore all’Accademia. Il cambio di rotta è precoce e d’impatto e da qui si dipana la storia».

«Ehi, tu dici di no, ma sei davvero bravo. Davvero ti potresti mettere a scrivere recensioni» lo fermò lei.

Lui stava aspettando quell’interruzione, la conosceva da una vita e sapeva bene quanta poca pazienza avesse e quanto fremesse e non riuscisse a stare ad ascoltare se qualcosa le frullava per la testa con l’urgenza di uscire fuori in forma di parola.

«Però ti devo contestare un termine che hai scelto» continuò lei. «Che la vicenda si dipani mi pare proprio
un’esagerazione. Allora te la faccio subito la prima critica. Ho trovato la struttura un po’ noiosa, e il compagno e la compagna, e la compagna e il compagno… A un certo punto mentre leggi sei tanto infilato nel loop che il contenuto non ti intriga più».

«Sarà» disse lui «ma a me ha fatto l’effetto contrario. A me proprio l’alternanza ha mantenuto alta l’attenzione. Gli stessi eventi raccontati da due punti di vista diversi, con tutto quello che ne deriva in termini di descrizione di epoca e spazi. C’è tensione, capisci? È un racconto che ti tiene sul filo, ti costringe a cambiare continuamente punto di vista e il contenuto ti interessa eccome, perché hai un contenuto elevato alla seconda, per così dire».

«Dici?» chiese lei perplessa. Si fidava dei giudizi di lui, quando parlavano di letteratura non c’era proprio storia, di solito lei lo ascoltava ammirata. Ma stavolta si era impuntata, la pensava diversamente e voleva affermarlo.

«Però…» riprese a dire. «Sempre il compagno e la compagna, la compagna e il compagno. E la ragazza? E la ragazza? Che mi dici della ragazza? Non ha diritto a un suo punto di vista lei? Alla fine il problema è principalmente il suo, dovrebbe essere lei la protagonista della storia. Anche se ho trovato fastidioso leggere ancora un altro testo derivato da #metoo. È vero che la scrittura accende la consapevolezza e sensibilizza, ma stiamo sempre parlando di un fenomeno hollywoodiano con le sue luci e le sue ombre, non dimentichiamolo». 

«Su questo ti sbagli. Raimo ha raccontato in un’intervista che l’idea le è venuta non da #metoo, e anche se fosse stato non ci sarebbe stato niente di male, ma dall’accusa di Maria Schneider a Bernardo Bertolucci riguardo alla famosa scena del burro in Ultimo tango a Parigi. Maria dichiarò tantissimi anni dopo l’uscita del film di essersi sentita violentata – e non importa adesso se per la scena in sé o per non essere stata informata dell’uso del burro. Ecco vedi, questo è il punto. Raimo non pone l’accento sulla violenza ma sulla possibilità della consapevolezza retroattiva. Per questo la ragazza non ha bisogno di parlare, non è il suo subire la violenza il punto, quanto piuttosto se sia possibile comprendere dopo un torto subito prima, quando ci si credeva consenzienti. E questo se ci pensi può essere applicato a tutto, non solo alle violenze e ai soprusi, ma anche alla quotidianità. Quante volte ti sei accorta troppo tardi che una scelta fatta non era davvero tua?»

Lei lo guardò con un misto tra invidia e orgoglio. Quante cose sapeva! Era anche per questo che l’amava così tanto.

«Non mi convinci» disse lei «ma ti prometto che ci penserò. Magari acquisirò una consapevolezza retroattiva» E sorrise.

Lui pensò che era bellissima quando sorrideva. Poi pensò che era bella sempre, perché aveva una luce dentro che proveniva da un’anima composta di scaglie di vetro sottile, perciò trasparente e limpida. Era anche per questo che l’amava così tanto.

«E che mi dici della società, della sua atmosfera? L’ho trovata fin troppo rarefatta, quasi asettica e di conseguenza asfissiante, quasi» proseguì lei. «Io morirei in un mondo così».

«Vabbè, il fatto che Raimo ti presenti questo mondo non significa che lo condivida. E il fatto che ti sembri asfissiante non significa che non debba essere rappresentato. In ogni caso secondo me viene mostrata in modalità distopica l’annosa questione della vita di modello scandinavo, con il top dei servizi e del benessere ma con una sorta di regolamentazione esasperata».

«Al diavolo il modello scandinavo!» Le guance di lei si erano colorate di rosa, forse perché si era accalorata nel discorso o forse perché adesso il sole picchiava direttamente sul suo viso.

«Come può essere felice una società soggetta a regole ferree che ti imprigionano anche i sentimenti? E poi io sento puzza di ipocrisia anche da lontano, ecco. Che senso hanno i termini perpetratore e subente? Uno stupratore è uno stupratore e se vogliamo affrontare la questione della violenza dobbiamo chiamare le cose con il loro vero nome».

«Ma guarda che proprio questo fa Raimo, pone il problema. Ti mostra una possibile soluzione che magari
soluzione non è, ma ti costringe a rifletterci su. E come vedi anche tu ci stai riflettendo».

«Bene, ci sto riflettendo. Ma io preferisco di gran lunga un altro tipo di società, con tutte le sue contraddizioni. Hai presente certi paesini con i vicoli stretti e tortuosi, e le case antiche dalle cui finestre aperte si intravedono scorci che raccontano di polvere e di mobili tarlati? Anche quella è una vita che attanaglia dentro schemi, dentro gabbie di cortili, di vicinato, di chiacchiericcio e di dita alzate per giudicare. Ma io lo trovo meno sterile, ecco, ci vedo più anima».

«È un altro tipo di vita», affermò lui. «Siamo esseri sociali e in qualche modo ci dobbiamo organizzare. Poi c’è l’utopia, ma quella è un’altra storia». Poi si alzò e cominciò a sparecchiare.

«Preparo un altro caffè», disse infine.

«Sai che ti dico? Alla fine è stata una lettura interessante, anche se mantengo tutte le mie perplessità. Però di una cosa sono sicura: il finale è un capolavoro».

E si alzò anche lei.

Anna  Burgio

Approfondimenti sull’autrice e sul libro qui e qui.

Informazioni su Anna Burgio

Narratrice di storie per caso, idealista nonostante. Impegnata, soprattutto, a imparare a vivere.

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