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Necrologio dei buoni propositi ed elogio dei desideri


Oscar Wilde

I buoni propositi sono inutili tentativi di interferire nelle leggi scientifiche. Nascono dalla pura vanità e il loro risultato è il nulla assoluto. Ogni tanto ci regalano una di quelle emozioni voluttuose e sterili che hanno un certo fascino per i deboli: è tutto quello che se ne può dire. Sono semplicemente assegni che gli uomini emettono su una banca dove non hanno il conto corrente”.
Oscar Wilde – da Il ritratto di Dorian Gray

Ancora una volta è arrivato il 31 dicembre. Ancora un anno che se ne va, un altro che arriva. Torna, come ogni anno, la consuetudine che risale a tempi immemorabili e che certamente non è solo la mia. Ogni 31 dicembre ho ceduto alla tentazione di fare bilanci e di esprimere i miei buoni propositi per l’anno che verrà.
In questi giorni, invece, per la prima volta la tentazione forte è di farla finita con quella che è ormai diventata una tradizione.
Il motivo non è legato al fatto che, come viene spesso ricordato in questo casi, la fine di un anno e l’inizio di un  altro siano un passaggio esclusivamente convenzionale, perchè – e lo sappiamo bene – il tempo non esiste, tutto è relativo, ogni momento è buono per fare cose, etc. etc.
Le mie considerazioni traggono invece le mosse dalle parole di Oscar Wilde, per poi seguire un percorso autonomo.
Saranno leggi scientifiche, come scrive Wilde, sarà il destino, una congiuntura astrale o un progetto divino, sta di fatto che una parte dei nostri intendimenti non dipende da noi e immaginare scelte e azioni future può veramente risultare inutile.
A questo aggiungo un’ulteriore riflessione: i bilanci e i buoni propositi sono, a ben vedere, sguardi lunghi e un po’ obliqui sul passato e sul futuro. Difficilmente usciamo dai bilanci – sugli eventi passati, sull’anno che sta per finire, su epoche intere già trascorse e finite – con la soddisfazione piena di chi è contento di come siano andate le cose. Ma se le cose non sono andate benissimo ce ne dovremmo già essere accorti in corso d’opera: che senso ha, allora, indugiare con analisi che sanno tanto di autolesionismo? Che altro possiamo imparare da esperienze ormai concluse?
I buoni propositi, dal canto loro, rischiano di essere strettamente connessi al procrastinare. Chi agisce non ha grande bisogno di esprimere propositi, non si propone le cose, semplicemente le fa, se non le può fare le organizza, le programma, le calendarizza, che è come dire che le sta già facendo. Non aspetta il prossimo lunedì, il primo del mese o il nuovo anno.
Mangiare meglio e più sano, fare attività fisica, smettere di fumare, essere più tolleranti, essere più produttivi, non procrastinare: queste alcune delle tante buone intenzioni che compongono i nostri periodici elenchi. E nel frattempo si trascorre il tempo procrastinando, perchè la buona intenzione è un pagherò che non costa nulla, che non comporta denuncia o querela, condanna o pignoramento in caso di mancata solvenza.  Ancor più se si considera che il proposito, o l’intenzione, non è una promessa, non ci si impegna con un’entità altra da se stessi; di conseguenza scema la necessità di rispettare l’impegno, degrada la solennità.

luigi pintor

Luigi Pintor

La diceria che di intenzioni è lastricato l’inferno è maligna. Deludenti ed effimeri sono gli esiti. I buoni proponimenti sono invece un polline che non fiorisce ma profuma l’aria.
Luigi Pintor, La signora Kirchgessner

Eppure ha ragione Pintor. Triste sarebbe vivere senza aspettative per il futuro, senza il profumo della speranza e dell’attesa. Ma per quello ci sono i desideri. E non si tratta di una mera distizione linguistica.
Proposito deriva dal latino pro – ponĕre, significa dunque ciò che è posto avanti ed è di conseguenza un termine che reca con sè la forza dell’intendimento, della determinazione di raggiungimento dello scopo. Se non fosse per tutti i legittimi impedimenti – esterni e interni alla volontà umana – di cui abbiamo detto.
Per Desiderio la questione si fa più complessa. Se etimologicamente il termine deriva indubbiamente da de – sidus, bisogna comprendere il significato che in questo caso specifico i latini davano a de. Considerando la particella come privativa, desiderio diventa assenza di stelle, intese come strumento divinatorio, e questa è senza dubbio la definizione più diffusa e plausibile. Tuttavia, nel lontano 2003, al Festival della Filosofia di Modena il professor Umberto Galimberti fece risalire l’origine della parola al De Bello Gallico, nel quale Giulio Cesare avrebbe scritto dei desiderantes, cioè i soldati sopravvissuti alla battaglia che aspettano sotto le stelle l’arrivo dei compagni. Peccato che, a quanto pare, la citazione esatta sia difficile da reperire all’interno dell’opera, tanto che molti sostengono che non esista affatto. Peccato davvero, perché considero questa variante affascinante.
La diversa interpretazione dà comunque la giusta rilevanza alla doppia accezione che il termine può assumere: da un lato il senso della mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere, dall’altro l’auspicio del suo ottenimento. In ogni caso  in funzione delle stelle che, con cielo sereno o coperte da nubi, da sempre accompagnano il nostro cammino.
Per questi motivi trovo che avere tanti desideri per l’anno che sta per arrivare sia molto meno frustante rispetto ai buoni propositi: con questi ultimi rischiamo di fare investimenti in perdita, mentre coi primi manteniamo uno sguardo ineluttabile sul futuro senza per questo privarci di obiettivi concreti per fare in modo che essi si realizzino.

pleiadi

Io desidero con tutto il cuore che il 2020 sia denso di cose buone, le aspetto tutte, con la fiducia nella mia volontà e con con l’incertezza propria dei sogni e dei desideri. E, visto che abbiamo parlato di stelle, quasi quasi do anche un’occhiata all’oroscopo.